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venerdì 31 ottobre 2014

La versione di Mike*

 
Una lettura sorprendente e piacevolissima. Tutta la vita di Michael Nicholas Salvatore Bongiorno detto Mike che inizia a New York, prosegue a Torino con la mamma, decolla con i primi lavoretti alla Stampa, (redazione sportiva, prima e durante la guerra), inizia davvero con la Resistenza (fatto noto, ma non è noto cosa abbia fatto), continua a San Vittore dove un plotone di esecuzione si ferma a quello prima di lui.
Poi i campi di concentramento nazisti in Austria, lo scambio di prigionieri e il ritorno a New York dove prosegue l'attività di giornasta lavorando alla radio (cronaca e sport). Sempre in contatto con l'Italia, incontra Vittorio Veltroni, padre di Walter, che gli cambia il nome in Mike e lo lancia nella carriera televisiva più lunga del mondo, a tutti nota. E' lui l'unico che fermava il cinema perché quando andava in onda Lascia o raddoppia? si fermava il film e si metteva la TV sul palcoscenico. Altrimenti nessuno andava al cinema il giovedì. (E il giovedì era già stato imposto come giorno dalla lobby del cine perché altrimenti rovinava il sabato!). Confermo perché lo ricordo al cinema Ariosto, a Milono.
Umberto Eco ne coglie la portata sociale e ne analizza il carattere nella sua "Fenomenologia di Mike Buongiorno", ma Mike in questo libro si vendica e letteralmente ridicolizza Eco (passaggi deliziosi).
Poi arriva Silvio Berlusconi che lo sceglie come avanguardia e portabandiera della sua avventura televisiva, gli fa un'offerta di quelle che non si possono rifiutare e con lui fonda quello che abbiamo visto. 
Infine l'incontro con Fiorello che lo capisce a fondo e gli tira fuori la sua vera vena ironica.
"La versione di Mike" è la sua prima, vera, autobiografia, scritta a quattro mani con il secondo figlio Nicolò. Così si dice, vero o no che importa? E' straordinaria!

giovedì 30 ottobre 2014

Nel mare ci sono i coccodrilli***


L'Afghanistan non è un posto ideale per nascere, né per crescere, soprattutto se sei hazaro e quindi perseguitato sia dai talebani sia dai pashtun e se qualcuno reclama la tua vita a risarcimento di un debito paterno. Così, un giorno, tua mdre ti porta in Pakistan, ti accarezza i capelli, ti fa promettere che diventerai un uomo per bene (tre cose: non rubare, niente droghe e niente armi) e ti lascia solo.
Qui inizia il drammatico viaggio che ti porterà in Italia passando per l'Iran, la Turchia e la Grecia. Un viaggio nella miseria e nella nobiltà del mondo. 
Un bel libro, veloce e interessante. Ovviamente di attualità.
Fabio Geda è nato nel 1972 a Torino, dove vive. Dopo una laurea in Scienze della comunicazione, ha deciso di occuparsi di disagio minorile e così, per un decennio, ha lavorato come educatore per i servizi sociali. Un'esperienza che ha, in qualche modo, riversato nella sua produzione letteraria, sebbene questa non sia mai direttamente autobiografica.
Nel 2007 ha esordito con Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani (Instar), Il romanzo ha avuto grande successo di pubblico e critica ed è stato tradotto in Francia, in Germania e in Romania aggiudicandosi diversi premi.
Nel 2008 ha pubbloicato L'esatta sequenza dei gesti, vincitore del Premio Grinzane Cavour e del Premio dei Lettori di Lucca. 
La consacrazione è arrivata però nel 2010, con Nel mare ci sono i coccodrilli (Baldini Castoldi e Dalai): 300 mila copie vendute, tradotto in trentadue paesi. 


giovedì 23 ottobre 2014

Scrittura cuneiforme*


 
Lo scenario è quello dell'Iran nel pieno della "modernizzazione forzata" degli scià, la lotta di liberazione, l'avvento e la fine di Khomeini, l'annientamento del comunismo. In un continuo passaggio tra presente e passato, tra Olanda e Persia, tra poesia e realtà, protagonista del libro è il rapporto tra padre e figlio, ma anche i grandi temi di oggi: l'incontro di culture, lo scontro fra tradizione e progresso, la capacità di ritrovare contatto tra esseri umani. 
Ismail, esule politico iraniano rifugiato in Olanda, riceve un giorno un misterioso taccuino, scritto in strani caratteri incomprensibili. È il quaderno che suo padre Aga Akbar, riparatore di tappeti sordomuto e analfabeta, portava sempre con sé. Peregrinando tra le montagne innevate al confine tra Iran e URSS, nei villaggi dove si tessevano tappeti volanti e i santi aspettavano il Messia leggendo libri in fondo ai pozzi, Aga Akbar registrava i suoi pensieri nell'unica scrittura che conosceva, i caratteri cuneiformi copiati da un'iscrizione rupestre.
Ismail, che di suo padre era stato "la bocca e le orecchie", si pone il compito di tradurlo, per perdonarsi di averlo abbandonato e riconciliarsi con il proprio destino. Nel "Paese piatto", dove si è ritrovato anche lui in certo modo analfabeta (nulla di più distante dei Paei Bassi dalla Persia), si mette a decifrare il passato, il suo e quello dell'Iran dell'ultimo secolo.
Interessante e piacevole, nel filone dei romanzi calati in una realtà storico sociale coerente e precisa. Si potrebbe definire un saggio "romanzato" o un romanzo "saggio". La casa nella mosche.
Kader Adolah, primo di sei figli, cresce in una regione di stretta osservanza islamica. Volendo seguire le orme di un suo trisavolo, uomo politico e poeta assassinato dallo scià nel 1875, sogna fin da piccolo di diventare scrittore. Per questo, dall'età di 12 anni si dà allo studio della letteratura occidentale, che fa sorgere in lui l'interesse culturale per l'Occidente di cui ascolta clandestinamente le stazioni radio.
Nel 1972 inizia a studiare fisica all'università di Teheran e ottiene un posto di direttore in una fabbrica di imballaggi. È in questa epoca che si interessa di scrittura, con la produzione di numerosi testi in lingua persiana. Dopo aver pubblicato due raccolte di racconti, adottando come pseudonimo i nomi di due esponenti dell'opposizione, Kader e Abdolah, assassinati dal regime iraniano degli ayatollah, le autorità scoprono in lui un membro attivo dell'opposizione, una circostanza che lo costringe ad abbandonare il suo paese nel 1985, insieme alla moglie, per trasferirsi in Turchia. Vi rimane tre anni, fino a quando entra in contatto ad Ankara con una delegazione olandese delle Nazioni Unite.
Decide così di rifugiarsi nei Paesi Bassi dove ottiene lo status di rifugiato politico. Impara l'olandese essenzialmente da autodidatta, aiutandosi con libri per bambini e raccolte di poesia. Inizia a scrivere in olandese, sforzandosi di padroneggiare meglio la lingua. Debutta nel 1993 con la raccolta di novelle incentrate sull'esperienza di esule: l'opera gli vale il Gouden Ezelsoor, premio olandese destinato agli esordienti. Nel 1995 esce una seconda raccolta, sullo stesso tema, intitolata "Le ragazze e i partigiani".
Pubblica un numero crescente di libri sotto lo pseudonimo di Kader Abdolah e tiene ogni settimana una rubrica nel giornale "de Volkskrant", sotto lo pseudonimo di Mirza, che significa "cronista", e che è anche il nome di suo padre morto. La sua opera è quasi sempre incentrata sulla vita tra due culture, quella originaria dell'Iran e quella adottiva dei Paesi Bassi, e sulla vita nella diaspora. Nel 1997 esce il suo primo romanzo, a sfondo autobiografico, "Il viaggio delle bottiglie vuote". 
Nel 2000 esce "Scrittura cuneiforme". "La casa della moschea", scritto subito dopo ci ha convinto ancora di più (vedere recensione sotto). Nel 2008 esce in "Il messaggero - Il Corano", formato da una biografia romanzata di Maometto e da testi tradotti dal Corano. Nel 2011 pubblica "Il re", ambientato nella Persia a cavallo tra Ottocento e Novecento al centro degli interessi coloniali di Russia, Francia ed Inghilterra.