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domenica 29 gennaio 2012

"Il Visconte"


Riceviamo da un amico la segnalazione di un libro, "Il Visconte", con la recensione fatta da Isabella Spagnoli per la Gazzetta di Parma.
Romanzo storico che alterna a fatti realmente accaduti situazioni puramente fantastiche, thriller, spy story condita da intrighi sentimentali, vicenda drammatica, a tratti divertentissima, «Il Visconte», di Brera & Cappi (Sperling & Kupfer), è un libro che racconta il Risorgimento italiano e le pagine cruciali che l’hanno contraddistinto attraverso la voce squillante di due autori che con la penna ci sanno fare.
Brera è proprio quel Brera: Paolo, scrittore e traduttore di classici, figlio dell’indimenticabile Gianni (che gli ha lasciato in eredità lo straordinario talento per la narrazione) e Andrea Carlo Cappi, considerato il maggiori esperto italiano di spionaggio. Quattro mani e due teste da «geniacci» hanno realizzato un progetto ambizioso: scrivere un romanzo sullo spionaggio internazionale ambientato alle porte dell’Unità d’Italia.
Il lettore, pronto a calarsi nel libro, potrebbe pensare che la volontà degli autori sia stata quella di celebrare esclusivamente il centocinquantesimo anniversario dell’Unità nazionale del nostro Paese: niente di più sbagliato. I fatti, è vero, sono quelli, ma l’idea, probabilmente nata con l’intento celebrativo, prende poi altri sentieri ben più tortuosi: il Visconte e gli altri personaggi curiosi e affascinanti del romanzo, narrano la storia dietro le quinte, la spiano da angolazioni diverse, riuscendo a far andare a braccetto storicità e invenzione, in un’avventura dove i fili si slacciano e riannodano continuamente.
Brera e Cappi sembrano divertirsi a prendere in giro il lettore, depistandolo, mettendolo in confusione, coinvolgendolo in un gioco di ruoli che mai viene svelato. Ma chi è il Visconte? Una spia, al servizio dei francesi e infiltrato tra le fila degli austriaci, un uomo dai mille volti che ama le armi, le belle donne e il buon vino ma che nasconde un dolore profondo nell’anima. 
Segnalato by Anonimus


giovedì 26 gennaio 2012

Avevano spento anche la luna *


Attraverso la storia di Lina, giovane figlia del rettore dell'università di Vilnius, l'autrice, figlia di rifugiati lituani, ci porta per mano in una della pagine più drammatiche e meno note della follia staliniana, la deportazione dei popoli baltici. Il libro è la storia del suo lungo viaggio fino all'arrivo in Siberia, in un gulag dove non c'è nulla, se non il freddo e la polvere della terra, che i deportati sono costretti a scavare giorno dopo giorno.
Ma Lina é determinata e non rinuncia alla sua dignità e al sogno di un futuro. Documenta tutto ciò che accade attraverso i suoi disegni nel disperato tentativo di gridare al mondo e al padre, deportato in un altro campo, che è ancora viva. Nei lunghi e freddi giorni siberiani, Lina promette a sè stessa che, se sopravviverà, farà conoscere a tutto il mondo il martirio dei popoli baltici.
La tenacia della giovane protagonista contagia così anche il lettore, che non riuscirà a staccarsi dal libro se non alla fine, nonostante l'inevitabile tristezza che lo avvolgerà. Da leggere con consapevolezza, sapendo che il libro è ispirato ad una storia vera ed ampiamente documentata.

per saperne di più:

L'uomo che amava i cani ***


Se volete una lettura impegnativa, che vi stimoli alla riflessione e all'approfondimento, ecco il libro che fa per voi. Nel narrare la storia dell'assassinio di Trotsky, questo ambizioso romanzo ripercorre quasi  un secolo di storia del comunismo: dalla rivoluzione di Ottobre ai processi staliniani, dalla torbida guerra di Spagna al sogno cubano, dall'ambiguo rapporto con il nascente nazismo alla salita al potere di Kruscev, dalla primavera di Praga ai rapporti con Tito.

Interessante il punto di vista: ferocemente antistalinista, anti leninista, anti Trotskista ma mai reazionario. E' la storia di una grande visione, che è diventata poi illusione ed è finita delusione: "gli anni del disincanto", come la definisce Leonardo Padura Fuentes, che è poi l'epoca che stiamo vivendo.

I protagonisti della vicenda sono accumunati da un destino, che, intriso e plasmato dalla "grande utopia", si rivela per tutti egualmente tragico, nonostante le diverse vicende personali. Filo conduttore del libro sono le conversazioni che  un aspirante scrittore cubano ebbe con un misterioso uomo gravemente malato, che passeggiava sulla spiaggia in compagnia di due magnifici borzoi, i famosi levrieri russi. Ma a questo filo conduttore se ne intrecciano altri due: quello della guerra civile spagnola, che ha come protanistra il futuro assassino di Lev Davidovitch, e quello dello stesso "esule", seguito da quando lascia la Reppublica dei Soviet a quando viene trucidato.

In questi incontri “l'uomo che amava i cani” gli rivelò una serie di fatti molto personali relativi alla vita di Ramon Marcader, l'assassino di Leon Trotsky, tanto da far supporre che questa fosse la sua vera identità. Grazie a queste conversazioni, l'autore inizia a ricostruire le vite parallele dell'esiliato Trotsky e del "predestinato" Mercader in un intrecciarsi di episodi che ci fanno capire sin da subito come entrambi siano già dei condannati: Trotsky dal suo passato troppo ingombrante, Mercader dalla sua fede cieca e ottusa.

Le pagine più belle sono forse quelle finali quando Mercader, uscito dal carcere, incontra il suo ex capo, anche lui vittima delle purghe staliniane, e, sullo sfondo dell'invasione sovietica della Cecoslovacchia, fa un bilancio dei tempi passati. Qui emerge tutta la disillusione ed il cinismo di chi ha abbracciato un sogno e poi ha contribuito a distruggerlo, anche senza saperlo.



http://www.mangialibri.com/node/8898
http://www.terranews.it/news/2010/10/l%E2%80%99uomo-che-amava-i-cani-e-assassino-trotsky
http://www.marxist.com/interview-with-leonardo-padura.htm

venerdì 13 gennaio 2012

Tre Tazze di tè


Il beneficio del dubbio rovina un po' il piacere di una lettura che, nella sua sgrammaticità e approssimazione, ci aveva entusiasmato e che per questo lo riprendiamo nel nostro blog. Il libro è la storia dello scalatore americano Greg Mortenson, che nel 1993, dopo una discesa di fortuna dalla vetta del K2, viene salvato dalla gente dello sperduto villaggio di Korphe, nel Karakorum pakistano. Per ricambiare dell'ospitalità e delle cure ricevute Greg promette loro che tornerà per costruire una scuola.
Inizia così la storia dello scalatore, che rinuncia a tutto per quella promessa, e delle difficoltà incontrate per mantenerla. In California, Greg rinuncia alla casa e vive in macchina per non sprecare i soldi dell'affitto, ma riesce nell'impresa: inizia con una scuola e poi via via arriva a una cinquantina. Punta all'istruzione perché è la leva per combattere l'integralismo talebano, punta sulle bambine perché sono storicamente escluse dall'istruzione. Il racconto di un'opera nelle zone dominate dai Talebani, anche dopo l'11 settembre e le guerre che hanno insanguinato una terra già martoriata.
Un successo da 40 milioni di copie in 40 Paesi. Addirittura adottato dai generali del Pentagono come manuale per le truppe in Afghanistan. Peccato che è emerso in seguito, secondo un'indagine di Steve Kroft, giornalista della Cbs, che quelle opere di beneficienza non sarebbero mai esistite e alcuni abitanti di villaggi pakistani vorrebbero denunciarlo per diffamazione.
Sotta accusa, in primis, c’è proprio la foto con i “presunti” rapitori che Mortenson ha pubblicato sul libro. Pare che in realtà, secondo la Cbs, uno di loro fosse Mansur Khan Mahsud, uno studioso locale, che invece lavorava per lui come guida. Poi c’è la storia dell’aiuto ricevuto al villaggio di Korphe, dopo essersi perso sul ghiacciaio del Baltoro una volta sceso dal K2 nel 1993, e che lui avrebbe poi ripagato costruendo una scuola. Anche questa sarebbe una bugia: sembra che Mortenson non si sia mai separato dai suoi compagni di spedizione.
L’accusa più grave mossa da Kroft e dal suo programma “60 minutes”, comunque, riguarda l’utilizzo dei fondi raccolti con la vendita del libro. Secondo i servizi della Cbs, le oltre cento scuole in Pakistan e Afghanistan che l’autore avrebbe costruito tramite la Central Asia Institute, no profit da lui fondata, sarebbero inesistenti. Il presidente Obama stesso donò 100mila dollari del suo Premio Nobel all’associazione di Mortenson per le sue attività benefiche.
Tra i detrattori di Mortenson c’è anche un altro ben noto scrittore americano, Jon Krakauer, autore del libro Aria Sottile sul disastro dell’Everest del 1996. Secondo Krakauer, che si autodefinisce ex-amico di Mortenson, le sue “sono belle storie ma sono tutte false. Lui non aveva mai sentito nominare il villaggio di Khorpe fino ad un anno dopo la salita al K2″.
Secondo quanto riferito dai media americani, Kroft avrebbe visitato 30 delle scuole di Mortenson, trovandole diroccate e mezze vuote, costruite da altri o completamente senza supporto. Il giornalista avrebbe inoltre scoperto che molti collaboratori di Mortenson avevano lasciato il loro impiego, in questi anni, per dubbi su come venivano gestiti i fondi. Compreso Jon Krakauer.
Ma le accuse sono veritiere? Questo ancora è da stabilire. Un tribunale americano ha avviato un’inchiesta sulla gestione dei fondi incassati da Mortenson. In internet il dibattito è aperto.
Comunque, interessante. Perché la tesi di fondo resta valida: i talebani, che trovano adepti nell'ignoranza e nella miseria, si combattono con la cultura, la scuola e non con le armi o il controllo del territorio. Maestri, non soldati: costa meno e rende di più.
Le tre tazze di tè è seguito poi da "La bambina che scriveva sulla sabbia", scritto meglio ma niente di più.