L'attrice americana Scarlett Johansson ha vinto la causa
contro Gregoire Delacourt: la star lo aveva accusato di "appropriazione indebita
della sua immagine" per il personaggio del suo ultimo romanzo ("La
premiere chose qu'on regarde" - "La prima cosa che guardo"). Il
romanzo racconta la storia di una ragazza francese la cui vita è
drammaticamente influenzata dal fatto di essere identica all'attrice americana. Più che
una fortuna sembra una condanna. A morte. Si legge di un fiato ed un libricino
divertente. Il bello è che a fronte di una richiesta di risarcimento di 50.000
euro, il tribunale ha imposto allo scrittore francese e alla sua casa editrice
di pagare 2.500 euro per i danni.
L’autore, Gregoire Delacourt, 1960, ha iniziato
a lavorare nel campo pubblicitario nel 1982 come copywriter e nel 2004 ha
fondato l'agenzia Quelle belle journée. Il suo primo libro, "L'écrivain de
la famille", è del 2011. Nel 2012 ha pubblicato "La Liste de mes
envies" ("Le cose che non ho", premiato anch'esso) e nel 2013 La
prima cosa che guardo. Si vede che è un bravo copy perché scrive bene: con le
parole ha mestiere.
Le cose che non ho è pure divertente e veloce.
Protagonista è una vincita alla lotteria che, come sempre, cambia la vita alle
persone e genera vicende fantasiose materializzando sogni, ma soprattutto
incubi. È quello che accade a Jo, merciaia di Arras, la protagonista di questo
romanzo: "un cuore semplice", una donna intelligente e positiva con
un'esistenza quieta, piena di piccoli sogni, che per un colpo di fortuna
all'improvviso è in grado di realizzarli tutti. Meno uno, il più importante.
Baciata dalla fortuna diventa “sfasciata dalla fortuna”.
Elle.it ha incontrato Grégoire Delacourt a Milano.
-Come pubblicitario, lei sa come giungere al cuore della
gente. La sua attività principale ha in qualche modo influito nella genesi di
questo romanzo, che è come una favola agrodolce che colpisce?
«Direi di no, qui il mio obiettivo non era vendere. Ma è
anche vero che la pubblicità mi ha insegnato a esprimermi con poche parole e mi
ha aiutato a conoscere meglio il mondo femminile. Ho lavorato per l’industria
cosmetica e ho imparato a conoscere le donne, i loro desideri e sogni. La
storia che racconto non è una favola rosa, è grigia. Stiamo attraversando un
periodo difficile, in cui le persone sono spesso senza soldi e senza speranza.
Il denaro non è la felicità ma è come una bacchetta magica. I francesi spendono
ogni anno più di 8 miliardi di euro in lotterie. Da qui mi venuta l’idea di
capire cosa succederebbe a una donna di 45 anni se le capitasse di vincere,
come cambierebbe la sua vita».
-Che cos’è allora la felicità? Una quotidianità
rassicurante che si ripete?
«San Tommaso d’Aquino diceva che la felicità è continuare
a desiderare ciò che si possiede. La vera felicità è gratuita. È nell’eleganza
di una donna, nelle parole, nello humour, nel riso di un bambino, in un cane
che ci viene incontro scondinzolando, nello spettacolo di un’alba… Andiamo
troppo in fretta: vogliamo, in fretta, un’auto nuova, una bella donna, un nuovo
iPhone. Non si ha il tempo di avere il piacere delle cose. Io credo che
dovremmo ritrovarlo. Il denaro ci assicura una vita più confortevole.
L’industria del lusso - mi duole dirlo -
ci fa credere che ci renderà più belli con un paio di scarpe, con una borsa…
Non è vero. Non bisogna chiedere al denaro ciò che non può darci».
-Tanti, però, dicono che se avessero più denaro sarebbero
più felici… «Non è vero! Ricordo la storia di un uomo, francese, separato, con
un bambino, che aveva diritto a trascorrere tutti i mercoledì con il figlio.
Con un giornalista, si lamentava di non avere i soldi per portarlo in barca, o
a Eurodisney. Ma il giornalista gli ha risposto che era sufficiente portare il
bambino nel bosco a camminare, a raccogliere funghi. E il piccolo sarebbe stato
felicissimo del tempo trascorso col papà!».
-Lei è abilissimo nell’immedesimarsi nella sua
protagonista, Jocelyne, una donna di mezza età proveniente da un contesto
sociale molto diverso dal suo. È stato complicato?
«In effetti ho la fortuna di avere una madre, una
sorella, una moglie eccezionali; in pubblicità, ci sono molte donne, e nei
libri, i miei personaggi letterari preferiti sono femminili. Quando finito di
scrivere il mio primo libro, dove la protagonista era una madre, mi sono detto
che è formidabile essere una donna. Volevo scrivere una storia e guardare al
mondo con gli occhi di una donna».
-Bisogna avere una componente femminile sviluppata, per
riuscirci.
«Mia madre un giorno mi ha fatto un regalo. Ero ragazzino
e stavo piangendo mente guardavo un film, dove c’era un animale che stava
morendo. Mio padre mi disse di smetterla, ma mia madre gli rispose di lasciarmi
piangere. Questo episodio mi ha trasmesso la fiducia nel diritto di avere dei
sentimenti, di esprimere delle emozioni, anche se l'educazione tradizionale
impone ai maschi di essere duri. Mi ha fatto davvero piacere aver ricevuto
centinaia di lettere da donne che hanno letto il libro e che mi ringraziavano
di averle capite e difese. Jocelyne non è una donna banale, è semplicemente
normale, come tante. Volevo rendere omaggio alle persone come lei, che hanno
comunque delle vite belle».
-Alla fine della storia, la vincitrice è la Jocelyne,
l’uomo è perdente… Dunque la donna è più forte?
«Perdono entrambi, in realtà, ma non voglio svelare di
più! Quello che davvero mi interessava era capire che cos’è la felicità per una
coppia dopo vent’anni, quando desiderio e passione si affievoliscono. Questo è
il vero argomento del libro. La felicità è l’amore. Jocelyne è una grande
eroina, perché resta fedele ai suoi valori, è coraggiosa e orgogliosa. C’è
sempre un prezzo da pagare, e anche Jocelyne pagherà. Ma non avrà tradito se
stessa. Spero di potermi reincarnare in una donna!».