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sabato 23 novembre 2013

E l'eco rispose*

Non è bello come " Il Cacciatore di aquiloni", ma è molto più bello di "Mille splendidi soli". Khaled Hosseini sa scrivere bene e ha inventato personaggi bellissimi. Non c'è un protagonista solo: ci si sposta da uno all'altro da un Paese all'altro (Afganistan, l'isola greca di Tinos, Parigi, San Francisco) con eleganza, seguendo le vicende personali. 
Prima che Khaled Hosseini scrivesse "Il cacciatore di aquiloni" nel 2003, questa letteratura non aveva molta diffusione da noi. Poi, invece, la narrativa "etnica", come la cucina, è arrivata e ha inondato con romanzi ambientati nei luoghi più impervi del mondo: l’Afghanistan ancora, ma anche il Pakistan, il Bangladesh, l’India e l’Estremo Oriente.
Il bello è che si esce dalla solita logica culturale che ci appartiene, europea e americana soprattutto, e si inizia un viaggio alla scoperta di scoprire emozioni, regole, giochi, relazioni, persone, logiche diverse. Un dizionario etico-sentimentale globale. Una narrativa dei sentimenti che ha spalancato il cuore di quaranta milioni di lettori in tutto il mondo, affamati di quelle storie, commossi e anche indignati per lo spettacolo di devastazione, che ha dato la guerra e per l’arretratezza e la miseria che ancora permane.
Hosseini imbastisce un racconto incentrato sui legami familiari orizzontali: fratelli, cognati, mogli, matrigne.
Attraverso la vicenda di questa famiglia afgana, che si dipana dagli anni Cinquanta ad oggi attraverso tre generazioni, Hosseini risale lungo i rami più contorti del suo albero genealogico.


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